“La vita a rovescio” è solo in parte un romanzo storico. Lo è nel senso che tutti i fatti narrati, i personaggi, gli avvenimenti storici di cui parlo sono realmente avvenuti ed esistiti, ma il mio intento era, soprattutto, verificare se, sui temi trattati nel libro, avessimo fatto abbastanza strada oppure no.
Nel romanzo parlo di differenti opportunità lavorative fra uomini e donne, possibilità di far carriera, disparità di retribuzioni, diverso controllo morale e sociale… Ammetto di aver osservato, con sconforto e sconcerto, che la strada compiuta in questi quasi trecento anni, è pochissima. L’occupazione femminile è largamente minoritaria rispetto a quella maschile, una donna riesce a far carriera e ricoprire ruoli decisionali, rispetto agli uomini, con una proporzione di 1 a 5. Guadagniamo mediamente, a parità di mansioni, il 20-30% in meno. E anche dal punto di vista culturale, siamo considerate ancora come “qualcosa di meno” rispetto a un uomo. Solo nel 1981 è stato abrogato l’articolo 587 del Codice Rocco, in materia di delitto d’onore. E la recrudescenza di violenza sulle donne, specialmente per mano di famigliari, è la testimonianza che questo concetto di donna come proprietà privata, sotto giurisdizione maschile, è ancora da lontano da estirpare.
Certo, da un punto di vista legislativo, giuridico e politico, abbiamo ottenuto risultati. Possiamo guidare, votare, laurearci, autodeterminarci. Ma è meglio non sederci sugli allori. Ciò che è accaduto a Verona, per esempio, con la mozione che rimette in discussione la legge 194, e che ha aperto la strada per simili iniziative anche a Milano e Roma, è un sintomo di un nuovo tentativo di rimettere le donne “al loro posto”; così come certe campagne moralizzatrici, che cercano di circoscrivere il femminile al ruolo di mogli e madri, dovrebbe farci alzare le antenne.
Insomma, c’è ancora molta strada da fare. Per il futuro, mi auguro meno principesse e più astrofisiche, per esempio.